05 dicembre 2007

La Stampa

Gli scioperanti chiedono di rimanere ente autonomo: temono la privatizzazionedi FLAVIA AMABILE
ROMA - Erano in circa trecento, forse quattrocento, le divise e il berretto neri delle guardie giurate dell’Istituto di vigilanza dell’Urbe. Fino a quel momento si erano limitati agli slogan. Cose di ordinaria amministrazione in una manifestazione, tipo: «Capo dei capi non è né Riina né Provenzano, è Romano» Oppure: «Bersani ladrone», tanto per citare i due più grandi nemici della categoria. Erano le dieci e un quarto, quando si è sentita un’esplosione. Qualcuno ha parlato di bomba carta. Mauro Frezza, due decenni da guardia giurata sulle strade di Roma, nega. «Ma no, era solo un petardo, ce lo siamo trovati tra i piedi...» Era anche lui in piazza insieme con gli altri. Voleva fermarli, ma non ha fatto in tempo: i colleghi, tutti in divisa, hanno scavalcato le transenne e hanno iniziato a correre verso l’ingresso principale della Camera. «Ente siamo ed ente resteremo» gridavano oltre ad insulti contro i soliti Prodi e Bersani. Sono accorsi i poliziotti in servizio mentre gli assistenti parlamentari si chiedevano: «Chiudiamo?». Erano sorpresi per l’assalto da parte di uomini in divisa: non avevano mai visto nulla di simile in anni di lavoro al Parlamento.Non hanno chiuso. «Li abbiamo fermati noi che eravamo contrari a questo tipo di protesta - racconta Mauro - e gli agenti di polizia». Divisa contro divisa, avete litigato? «No, loro facevano il loro mestiere e noi la nostra protesta, nessun problema». Sono intervenuti alcuni parlamentari dell’opposizione come Francesco Giro (Fi), e Domenico Gramazio (An). Hanno promesso che una delegazione avrebbe avuto un incontro con rappresentanti delle istituzioni e così i manifestanti sono arretrati di qualche metro. Dopo un po’ si è udita la sirena di un’autoambulanza. «Non era colpa dell’assalto né del petardo - racconta Mauro -. Uno di noi si è sentito male». Tra scontri e incontri è andata via così la giornata di protesta delle guardie giurate dell’Istituto di Vigilanza dell’Urbe, una delle oltre 35 sigle di vigilantes romani. Sono scesi in piazza per protestare contro l’ipotesi portata avanti dal ministero per lo Sviluppo Economico di staccare l’istituto di vigilanza dall’Associazione Nazionale di Combattenti e Reduci, di cui sono una diretta emanazione, per metterlo sul mercato o trasformarlo in cooperativa. Nel pomeriggio si sono aperte le porte di Palazzo Chigi per una delegazione, formata da dipendenti Ancr-Ivu (delle sigle Rdb-Cub, Sinalv-Cisal, Savip, SdL). «Da parte della presidenza del Consiglio è giunto l’impegno a fissare nella prossima settimana un nuovo momento di confronto» sottolineano in una nota i sindacati di base Rdb-Cub. Hanno poi incontrato il prefetto di Roma Carlo Mosca che «ha assicurato il suo impegno a incontrare l’attuale commissario straordinario dell’ente e a cercare di risolvere al più presto quanto meno il problema della regolarità nel pagamento degli stipendi», ha spiegato il consigliere comunale del Partito democratico, Dario Nanni. In un’Italia in cui lo Stato vende tutto quello che può, insomma, loro resistono. «Siamo l’ente più antico, abbiamo una storia che risale indietro nel tempo fino agli anni Trenta» - spiega Mauro. «Privatizzarci significa distribuirci fra i vari istituti romani. Due a te, due a te, come le caramelle. Si chiama spacchettamento. Il risultato? Diventeremmo come tutti gli altri, non più dipendenti di un ente semipubblico ma di società che ci farebbero diventare precari a vita. Ho venti anni di lavoro alle spalle, cinque figli, non posso permettermelo». Solo la scorsa settimana i vigilantes aggrediti a Roma sono stati due, uno proprio dell’Istituto vigilanza dell’Urbe che ieri era in piazza. Che protezioni avete? «Una pistola - risponde Mauro - e la consapevolezza che questo è il nostro lavoro». Millecento euro al mese nei casi migliori se si lavora di giorno, duemila se si lavora di notte. Turni di dodici ore per guadagnare un po’ di più. I rischi? «Siamo una precauzione, un deterrente. Ma se vogliono aggredirci possono farlo quando vogliono. Non abbiamo altre difese se non noi stessi». In quanti fanno questo lavoro? «Sempre di meno - risponde Mauro - da noi non assumono da otto anni. Due anni fa eravamo 1200 persone, ora siamo in 850. Chi ha l’età va in pensione, chi ha un’alternativa non se la lascia scappare». Perché fare da bersaglio a mille euro al mese se si può scegliere?

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